La Consanguineità (o inbreeding) è un indice della omozigosità di un individuo, ovvero della presenza dei medesimi geni ed è il risultato dell’accoppiamento tra due soggetti imparentati tra loro. La Consanguineità sarà, quindi, tanto più alta quanto più stretta sarà la parentela tra i due soggetti che si intende far accoppiare. Gli accoppiamenti tra soggetti imparentati sono, però, un’arma a doppio taglio, perché hanno effetti positivi (con una oculata e mirata scelta dei riproduttori) ed effetti negativi: vediamo quali.
La Consanguineità viene utilizzata dagli allevatori per aumentare l’omozigosi e “fissare” le caratteristiche desiderate, dopo aver scelto oculatamente riproduttori geneticamente sani di cui si vuole fissare un carattere estetico o utile (lavorativamente parlando). Quindi, di per sé, gli accoppiamenti in Consanguineità non sono sbagliati a priori: diventano un problema quando se ne “abusa” (coscientemente e non) o quando vengono fatti “a casaccio”, solo perché il soggetto è bello o ha vinto tanto e pazienza se non è sano o non ha un buon equilibrio caratteriale.
Gli accoppiamenti in Consanguineità si distinguono in:
- Inbreeding stretta: si ha accoppiando parenti di 1° e 2° grado ovvero genitori x figli e fratelli x sorelle;
- Inbreeding media: si ha accoppiando parenti di 3° e 4° grado ovvero nonno x nipote, zio x nipote e fratellastro x sorellastra (questi ultimi sono anche detti “mezzi fratelli” perché hanno un solo genitore in comune);
- Linebreeding: si ha accoppiando soggetti che hanno antenati comuni, che hanno solitamente una parentela che va dal 5° ad ulteriori successivi gradi di parentela.
Ma cosa succede quando si abusa degli accoppiamenti in Consanguineità? È presto detto. L’aumento dell’omozigosi provoca:
- Una maggiore probabilità di espressione di geni recessivi indesiderati e/o rari che, in condizioni normali, sono presenti prevalentemente allo stato eterozigote e che hanno una maggiore probabilità di esprimersi allo stato omozigote, provocando danni a livello sanitario e zootecnico, con la comparsa di patologie ereditarie;
N.B.: Un soggetto portatore di una tara genetica non significa malato, quindi è possibile non eliminare tale soggetto dalla riproduzione ma va fatto accoppiare in maniera oculata così che questa tara genetica non si presenti fenotipicamente, ovvero esteriormente, ma rimanga latente nel corredo genetico. - Riduzione della variabilità genetica;
- Depressione da Inbreeding, ovvero una generale riduzione di tutte le performance produttive e riproduttive (minor longevità, maggiori problemi di salute, diminuzione del peso corporeo, della taglia, dei “nati vivi”, del tasso di concepimento, della fertilità, ecc.).
Come si calcola la Consanguineità?
Attraverso il COI, ovvero il Coefficiente di consanguineità, che viene espresso tramite una percentuale e serve a stimare la Consanguineità di un soggetto. Questo coefficiente si ottiene partendo da un’analisi del pedigree, tenendo conto degli antenati comuni, se presenti, fino alla 5°generazione. Il COI sarà tanto più elevato quanto più i due riproduttori sono imparentati tra loro ed è per questo che è fondamentale conoscere il COI che i cuccioli avrebbero utilizzando due determinati soggetti, così da pianificare correttamente un accoppiamento e ottenere un coefficiente che sia il più basso possibile.
È RACCOMANDABILE CHE IL COI NON SUPERI IL 6% IN 5 GENERAZIONI (che è più o meno quello che si ottiene da un accoppiamento tra cugini)!
Un altro parametro da tenere in considerazione, in tema di Consanguineità, è l’AVK o ALC (Ancestor Loss Coefficient) che, calcolato su 5 generazioni, indica la percentuale di presenza di un antenato in un pedigree e il grado con cui i caratteri recessivi vengono persi.
Il valore di questo parametro è importante